Biografia
Alceo, nato da famiglia aristocratica, fu implicato, insieme ai suoi fratelli, Kikis e Antimenida, nelle controverse vicende di Mitilene. Proprio Kikis e Antimenida riuscirono, insieme a
Pittaco (uno di quelli che la tradizione ricomprenderà fra i
Sette Sapienti), nel
612 a.C., a rimuovere il tiranno Melancro (
Diogene Laerzio,
Vite dei filosofi, I, 74), della famiglia dei Cleanattidi, dando così la stura a violenti scontri fra gli aristocratici e il popolo. Quando, successivamente,
Mìrsilo prese il potere, il giovane Alceo, che aveva ordito con altri di rovesciarne il governo, scoperta la congiura (forse denunziata dallo stesso Pittaco), fu costretto all'esilio nella città di
Pirra. Alla morte del tiranno Alceo poté far ritorno in patria intonando un canto di giubilo (Fr. 332 Lobel-Page): «Era ora! Bisogna prendere la sbornia. Si beva a viva forza: è morto Mìrsilo». Ma, già nel
600 a.C., Pittaco, il commilitone di Alceo durante la battaglia del
Sigeo contro
Atene per il possesso della regione Achilitide, col quale condivise le amarezze della sconfitta e della fuga, ruppe il patto di «non tradire mai e di giacere morti, in una coltre di terra, uccisi dai tiranni, o ucciderli, e scampare da tanti mali il popolo» (Fr. 129 Lobel-Page), divenendo
aisymnètes (αίσυμνήτης), sorta di «tirannide elettiva» (
Aristotele,
Politica, III, 14, 1285a), succedendo così a Mìrsilo: «È d'un ramo bastardo, Pittaco. E l'hanno fatto tiranno d'uno Stato maledetto e senza nerbo. Per acclamazione» (Fr. 348 Lobel-Page). E contro Pittaco Alceo (
Vite dei filosofi, II, 46), l'amico di un tempo, lancia strali tesi ad evocare la sua abietta esistenza, chiamandolo il «panciuto» (φύσκων), perché «era pingue e carnoso» o il «piedi slargati spazzanti la terra» (σαράπους), perché «aveva i piedi piatti e li trascinava per terra» (
Vite dei filosofi, I, 81), con l'esito di un nuovo esilio, questa volta in
Egitto e, forse, in
Tracia. Dall'esilio Alceo fece ritorno solo quando Pittaco, prima di lasciare la carica di «capo supremo del popolo» (αίσυμνήτης), decise di perdonare tutti i suoi nemici (Diogene Laerzio in
Vite dei filosofi, I, 76, tramanda la seguente notizia: «Eraclito [...] afferma che, avendo in suo potere Alceo, lo rimandò libero con queste parole: ‘Il perdono è superiore alla vendetta'»). Così Alceo, ormai stanco e amareggiato, trovò consolazione solo nel vino, riuscendo in questo modo a dimenticare ogni pena (Fr. 346 Lobel-Page: «Il vino! Ecco il dono d'oblio»). Alceo morì in tarda età, occupato solo dall'incombenza di versare sul «capo, che ha sofferto tanto, [...] l'unguento» (Fr. 50 Lobel-Page).